LE TERAPIE: COME SI CURANO
I DISTURBI MENTALI


Abbiamo già accennato, a proposito del pregiudizio dell’organicità, al fatto che per la psichiatria il concetto di cura è diverso da come viene inteso nel resto della medicina. Non si tratta, infatti, di una malattia del corpo che si deve curare solo con farmaci o interventi chirurgici, bensì di modificare alcuni aspetti dell’ambiente sociale e di vita, che fanno vivere male una persona.

Con la chiusura degli ospedali psichiatrici è stato necessario allargare il concetto di terapia: in passato si cercava di isolare la “malattia allo stato puro”, in manicomio, lontano dalle cause di disturbo e dalle interferenze della vita; oggi si osservano e si curano “le persone nella loro interezza” storica, sociale, familiare e culturale. Si passa, così, dalla cura della malattia alla cura della persona. Ma per fare questo occorre mettere in campo nuove idee, nuovi metodi per capire e valutare il paziente. E poiché non si tratta di curare specifiche malattie, ma di prendere in cura una persona che si trova a vivere una situazione di disagio o di disturbo psicologico più o meno grave, diviene semplicistico parlare di “guarigione”, se con questa parola si pensa alla scomparsa dei sintomi.

Se, invece, ci si riferisce alle ragioni che hanno portato alla sofferenza, sarà necessario analizzare complessivamente la vita della persona che sta male per determinare un cambiamento, vale a dire per arrivare a trasformare le sue condizioni psicologiche e di relazione, e ricostruire nuove forme di benessere e di equilibrio. Per determinare un cambiamento è necessario concordare un progetto terapeutico personalizzato: individuare e programmare gli interventi ritenuti più utili per quella persona in quel momento della sua vita.




IL PROGETTO TERAPEUTICO PERSONALIZZATO

Si tratta, dunque, di fornire una molteplicità di risposte che attraversano più campi operativi: psicologico, familiare, sociale. Le risposte possono essere date e organizzate da una équipe composta da diverse figure professionali: psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri.

Il presupposto per una buona costruzione e conduzione di un rapporto terapeutico è dato dallo stabilirsi di un rapporto collaborativo tra paziente e operatore.Questo è il momento che richiede l’espressione delle migliori risorse personali e professionali dell’équipe intera.

Ogni progetto terapeutico è una associazione, sempre “originale” di cinque tipi di intervento (vedi schema) e può prevedere l’utilizzazione di uno, più di uno o anche di tutti i tipi di intervento. Ciascun tipo può essere utilizzato una sola volta o molte volte. Nella pratica come non esiste una persona perfettamente identica ad un’altra, non esistono due progetti perfettamente uguali, perchè ci si trova ad affrontare situazioni simili ma non uguali: appunto in questo senso si parla di progetto terapeutico personalizzato.

Di conseguenza esistono progetti più o meno complessi: da quelli che si limitano all’utilizzazione di un solo tipo di intervento, a quelli che prevedono l’utilizzazione di tutti i tipo anche per molte volte. I tipi fondamentali di intervento sono cinque:

Il colloquio terapeutico
L’intervento sulla famiglia
L’intervento socio-terapeutico
Il ricovero
La psicofarmacoterapia

Il progetto terapeutico personalizzato è fondato sulla relazione terapeutica (rapporto di fiducia e collaborazione tra paziente ed operato- re) ed è costituito dall’associazione. sempre variabile, dei cinque tipi di intervento (o tecniche d’intervento). Varia nel tempo, va spiegato al paziente e con lui concordato.




GLI STRUMENTI PER COSTRUIRE IL PROGETTO


Il colloquio terapeutico

È la base di ogni progetto terapeutico; molti progetti si risolvono in una breve serie di colloqui, altri necessitano di un trattamento più lungo. L’obiettivo è quello di attenuare o eliminare i sintomi ma anche di far acquisire al paziente modelli di comportamento più adeguati alle esigenze della sua esistenza.

Non è facile dire come si raggiungano tali obiettivi. Certamente l’aspetto più significativo del colloquio con un terapeuta consiste nella possibilità di stabilire un contatto importante fondato sulla fiducia e sulla solidarietà. Questo si traduce in un rapporto signifivativo tra terapeuta e persona sofferente.

In questo spazio di relazione riservata, tutelata dal segreto professionale, il terapeuta è disponibile nei confronti della persona che esprime il bisogno di essere liberamente ascoltata e nel tempo aiutata, rispettando il senso della sua sofferenza.Gli argomenti sono scelti dal paziente e concordati con il terapeuta momento per momento.. Di fatto sono potenzialmente infiniti e riguardano le aree della vita, cioè i momenti significativi dell’esistenza della persona, in senso attuale ma anche storico: la sfera familiare e coniugale, quella affettiva e sessuale, quella lavorativa o scolastica, le amicizie, gli hobbyes, ma anche le malattie, i trattamenti medici, la paura della morte. In una o più aree emergeranno frustrazioni, conflitti e condizioni di stress responsabili della condizione di disagio e di disturbo.Specie nei primi colloqui l’analisi delle aree della vita viene utilizzata per costruire un progetto terapeutico personalizzato.

Al di fuori del rapporto specialistico, l’analisi delle aree della vita è il modo attraverso cui ciascuno di noi può farsi un’idea dell’esistenza della persona che si vuole aiutare valutandone anche il grado di sofferenza-benessere.

Si tenga infine presente che, in genere, la persona sofferente si rivolge per la prima volta ad una terapia in un momento di crisi, spesso in fase di crisi acuta. Questo significa che il primo contatto fra paziente e curante avviene in una situazione difficile, nella quale, prima di poter avviare qualsiasi progetto, si deve provvedere a superare lo stato di alterazione e di angoscia, e a riaprire i normali canali di comunicazione. Solo successivamente, quando lo stato del paziente è tornato a livelli più fruttuosi di scambio, il colloquio può passare all’analisi dei problemi dell’esistenza del soggetto.


L’intervento sulla famiglia

Può riguardare la famiglia in senso stretto o estendersi al più ampio contesto di parenti o di amicizie in cui il paziente vive. Serve per avere una conoscenza migliore di quanto il paziente riferisce in sede di colloquio: ma lo scopo principale è quello di modificare atteggiamenti e rapporti, che spesso si rivelano inappropriati, con le persone che gli sono vicine.

Nella grande maggioranza dei casi, l’intervento sulla famiglia o comunque sullo spazio di relazioni più intime del paziente, costituisce il momento terapeutico strategico. Spesso è proprio in questo spazio che si riproducono e si stabilizzano le alterazioni più gravi. Spesso il paziente è solo la punta emergente della difficoltà, nei rapporti affettivi, che investe i membri della famiglia. E’ abbastanza frequente, quindi, che il progetto terapeutico finisca per investire l’intero gruppo familiare. Ma è anche all’interno di tale gruppo che la terapia si può scontrare con inerzie e resistenze.

I familiari, in genere, sono i primi a chiedere un aiuto terapeutico, ma sono anche i primi a ritenere che la vera terapia sia quella che si ottiene con le medicine, o con un trattamento che resterà comunque limitato al rapporto tra il paziente e chi lo cura. E’ questo un atteggiamento che si deve superare.


L’intervento socio-terapeutico

Possiamo immaginare le relazioni sociali di una persona come uno spazio di sfere concentriche. La sfera più interna comprende le relazioni più intime, quelle familiari innanzitutto, ed eventualmente quelle di qualche amicizia più stretta: l’intervento sulla famiglia (che abbiamo indicato sopra) si limita a questa prima sfera. L’intervento socio-terapeutico si estende, invece, ad altri contesti e luoghi di vita nei quali il paziente è inserito, come l’ambiente di studio o di lavoro. Lo scopo dell’intervento in questa seconda sfera è di ridurre i fattori di disagio e di rinforzare o ampliare la rete dei rapporti dell’individuo. In sostanza, l’intervento socio-terapeutico ha l’obiettivo di ricostruire o di consolidare il ruolo sociale della persona.

Inoltre, con l’intervento socio-terapeutico, se necessario, si erogano sussidi economici, si agevola il reinserimento lavorativo, si organizzano soggiorni estivi, si collabora all’occupazione del tempo libero.


Il ricovero

Nella maggioranza dei casi è motivato da condizioni di gravità tali che rendono indispensabile una assistenza continua anche se limitata nel tempo. Esistono tuttavia vari tipi di ricovero, condotti con finalità diverse. C’è quello deciso dal terapeuta, indipendentemente dalla volontà del paziente, il TSO, Trattamento Sanitario Obbligatorio. Ma il ricovero psichiatrico può far parte di un progetto terapeutico più collaborativo, e risultare quindi concordato tra operatore e paziente (ricovero concordato).

Ciò si verifica specialmente quando entrambi convengono sull’opportunità per il paziente o di essere più protetto, perché incapace di autogestirsi, o di essere allontanato dal contesto familiare e di vita abituale. Il ricovero non deve comunque mai limitare la libertà del cittadino né ledere i suoi diritti. I ricoveri effettuati in Servizi Psichiatrici moderni e attrezzati consentono di abolire la pratica delle contenzione. Con questo termine si intendo la condizione di immobilizzazione fisica del ricoverato che viene legato al suo letto tramite apposite fasce. Tale metodo viene spesso usato per supplire alla carenza di personale o peggio perchè ritenuto una necessità terapeutica: di fatto la contenzione è solo mancanza di mezzi e di professionalità nel gestire i paziente in fase acuta. Va infine tenuto presente che il ricovero non avviene solo tra le mura di una struttura ospedaliere. Esso, a seconda delle necessità che lo determinano, può attuarsi in un’ampia gamma di luoghi a cui accenneremo più avanti parlando delle “strutture protette”.


L’intervento psicofarmacologico

Gli psicofarmaci sono sostanze usate in medicina per il trattamento del disagio e del disturbo psichico.

Senza dubbio la loro scoperta e il loro uso hanno portato un notevole contributo nel trattamento psichiatrico. Va tenuto presente che proprio nelle situazioni di crisi acuta o di persistente malessere, gli psicofarmaci permettono al paziente di mantenere, almeno in parte, la vita familiare e lavorativa, riducendo al minimo i casi in cui diventa necessario il ricovero.

Ma sull’uso degli psicofarmaci sono sorti anche parecchi equivoci e illusioni. L’equivoco maggiore è che da soli costituiscano una cura sufficiente; mentre è ormai risaputo e accettato, anche da punti di vista differenti, che essi curano il sintomo ma non intervengono sui fattori che hanno indotto il disturbo. Inoltre, degli psicofarmaci si tende ad abusare, ad utilizzarli all’insorgere di piccoli malesseri o di fronte a normali difficoltà o sofferenze della vita quotidiana. In alcuni casi si giunge all’autoprescrizione, senz’altro sconsigliabile. Sta di fatto che il loro consumo è enormemente aumentato anche per la grande propaganda che se ne fa e per l’enfasi esagerata dei giornali e della TV.

L’assunzione impropria o eccessiva degli psicofarmaci è il segno della rinuncia a stabilire una relazione terapeutica valida, che possa aiutare la persona a superare le proprie ansie e chiarire i propri conflitti.




I TRE GRUPPI DI PSICOFARMACI PIÙ DIFFUSI



Antipsicotici
Svolgono un’azione sedativa e riducono deliri e allucinazioni

Ansiolitici Ipnotici
Riducono l’ansia fino ad indurre il sonno; sono utilizzati in tutti i disturbi mentali

Antidepressivi
Agiscono sulla depressione stimolando un comportamento più attivo ed elevando il tono dell’umore


Gli psicofarmaci più utilizzati appartengono a tre gruppi. La stessa sostanza chimica può essere presente sul mercato con un nome diverso stabilito dalla casa farmaceutica produttrice.

Gli psicofarmaci, pur se inducono molti effetti collaterali anche gravi, sono utili nel trattamento dei disturbi mentali purchè vengano rispettate tre condizioni:

Devono essere assunti solo per decisione dello psichiatra; il medico non specialista (compreso il medico di base) dovrebbe limitarsi all’uso degli ansiolitici e degli ipnotici.

Non devono essere prescritti più farmaci dello stesso gruppo alla stessa persona.

Un progetto terapeutico non può essere basato esclusivamente sulla prescrizione degli psicofarmaci.