I PREGIUDIZI

Le idee che ci facciamo sulla mente (o psiche) ci toccano molto da vicino, perchè investono le radici della nostra identità. Inoltre, le conoscenze scientifiche sulla natura dei disturbi e sulla salute mentale sono incerte. I pregiudizi sono i primi strumenti - quasi una piccola teoria già pronta e basata su luoghi comuni - con cui riempiamo queste incertezze e difendiamo istintivamente noi stessi.

Il pregiudizio può essere correntemente definito un giudizio anticipato senza approfondimento, un’opinione preconcetta, capace di far assumere atteggiamenti ingiusti, specialmente nell’ambito dei rapporti sociali; non è un caso se con lo stesso termine viene indicato il danno che si può recare a qualcuno con un comportamento improprio.

Il pregiudizio estremizza, generalizza, rifiuta l’analisi. Esso dà un senso immediato di sicurezza perchÈ rende più semplici realtà complesse e poco conosciute. Tutti, indipendentemente dal livello di cultura e dalle capacità intellettuali, possiamo usare il pregiudizio come una scorciatoia di pensiero, sia se riflettiamo su noi stessi sia sugli altri.

Quando c’è una sofferenza mentale il pregiudizio si accentua. La sofferenza mentale è infatti una realtà scomoda, su cui si cerca di tacere sia con gli altri sia con se stessi. Così ai tanti problemi della sofferenza si aggiunge anche quello del silenzio, uno schermo pesante ed opaco che allontana chi soffre dagli altri e da se stesso.




I pregiudizi più diffusi sulla sofferenza psichica, spesso aggravati dal silenzio e dalla vergogna, sono quattro:

Pericolosità e incomprensibilità

Organicità

Incurabilità

Superiorità delle cure private
su quelle pubbliche





1° PREGIUDIZIO: PERICOLOSITÀ E INCOMPRENSIBILITÀ

“Tutti i matti sono aggressivi e violenti”
Si ha paura di entrare in rapporto con una persona con un disturbo mentale

“Facciamo finta di non vederlo,può avere un raptus”
Si rinuncia alla comprensione dei pensieri e delle emozioni della persona considerata malata

È veramente difficile dipanare il groviglio di paure genuine e di timore, che alimenta il pregiudizio della pericolosità nei confronti di chi è affetto da disturbi mentali.

Non c’è dubbio che sussistono casi di alterazione mentale che portano inevitabilmente ad atteggiamenti aggressivi e alla violenza. Non va dimenticato quante volte coloro che sono soggetti a stati di alterazione psichica sono stati sottoposti all’inganno e alla violenza. L’aggressività, in tutti questi casi, è la reazione a stati di paura, di sofferenza, di tensioni insopportabili anche per i familiari: proprio per questo può essere opportunamente prevenuta e gestita quando il soggetto sofferente è seguito dall’Èquipe curante.

I dati statistici smentiscono e ribaltano il luogo comune del “matto violento”: aggressioni. lesioni, omicidi sono presenti in egual misura nella cosiddetta popolazione normale e in quella dei pazienti psichiatrici.

Qui, tuttavia, non stiamo considerando tanto la pericolosità obiettiva (che in alcuni casi esiste), quanto il pregiudizio che alimenta la paura di fronte a colui che è manifestamente affetto da disturbi mentali. E’ un pregiudizio costruito sul timore di non poter fronteggiare situazioni impreviste, che appaiono minacciose e incomprensibili.

Infatti chi ha una sofferenza mentale ci può apparire più minaccioso anche perchè non riusciamo a capire ciò che vuol comunicare. Abbiamo l’impressione che dica e faccia cose senza senso, che parli una lingua incomprensibile; per risolvere la paura o il fastidio che questo può procurare, rinunciamo a tentare di comprendere i pensieri e le emozioni di quella persona, che ci sembra totalmente diversa da noi.

I pensieri e le emozioni di chi soffre, indubbiamente strani e sconcertanti se visti dall’esterno, hanno al contrario sempre un significato preciso, anche se molto difficile da capire.

Solo se combattiamo la comprensibile tentazione di rinunciare a capire gli strani messaggi della sofferenza potremo superare il pregiudizio della pericolosità.




2° PREGIUDIZIO: ORGANICITÀ

“La vera cura è con le medicine, le radiografie,
..... con il ricovero ti curano veramente”
Viene cioè ridotta la complessità del problema psichiatrico all’intervento di natura medica, prevalentemente basato sul ricovero.

“La psicoterapia: sono tutte chiacchiere”
Viene erroneamente escluso il trattamento psicoterapeutico per i pazienti gravi

“La psicoterapia: solo per chi ha lievi problemi, non per veri matti”

Il pregiudizio dell’organicità nasce dall’idea che lo stato di malattia può dipendere unicamente da una lesione o dalla alterazione del cervello. Secondo questa idea, se si verifica uno stato di disordine o di sofferenza mentale, allora le cellule nervose devono risultare guaste, non più funzionanti a dovere. Rafforza questo pregiudizio il fatto che effettivamente esistono malattie del sistema nervoso, di cui il cervello è parte, di natura organica, come i tumori, le sclerosi, le demenze, le meningiti, ecc. Così come effettivamente esistono strumenti di diagnosi basati su “ispezioni degli organi”, come l’ElettroEncefaloGrafia (EEG), le radiografie del cervello, la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), la Risonanza Magnetica. Inoltre, a fianco delle malattie e delle diagnosi. esistono anche terapie organiche efficaci in grado di curare gravi disturbi: basti pensare ai progressi della neurochirurgia e a quelli della farmacologia.

L’errore del pregiudizio organico, quindi, è quello di estendere a tutti i disturbi mentali ciò che è vero solo per alcuni: mentre ormai si sa con certezza che molte delle alterazioni, anche gravi, dell’equilibrio mentale non sono riducibili a “guasti” di tipo esclusivamente organico.

Per questo si distinguono oggi branche specialistiche diverse: la psicologia, che studia la mente e le sue funzioni; la neurologia, che si occupa delle alterazioni organiche del sistema nervoso centrale e periferico; la psichiatria, che si occupa dei disturbi mentali. Queste discipline sanno che i fattori che portano una persona a “star male con la mente” sono di natura complessa, non solo riducibili al cattivo funzionamento di un organo o delle cellule di un tessuto.

Superare il pregiudizio organico significa aver capito che la vita psichica, oltre che il riflesso del funzionamento di organi e tessuti del corpo, è lo specchio della storia di un individuo, di come ha vissuto, delle delusioni, delle gratificazioni, delle esperienze che hanno segnato, in modo significativo, negativamente o positivamente, la sua esistenza.




3° PREGIUDIZIO: INCURABILITÀ

“C’è poco da fare, nonpossono guarire”
È una forma di inutile commiserazione e disimpegno che troviamo perfino in alcuni operatori.

“ ... Mi danno fastidio, quando li incontro per strada: ma perchè li lasciano girare?”
Il desiderio neanche troppo nascosto è di emarginazione e internamento

“Quando uno è matto non c’è niente da fare,è incurabile!”
così si sintetizza, attraverso un’espressione netta e chiara, il pregiudizio che fa della sofferenza mentale un luogo di non ritorno, un processo irreversibile, un giudizio di condanna senza appello e di irrecuperabilità definitiva.

Se quello organico è il pregiudizio più diffuso, quello dell’incurabilità è in assoluto il più dannoso. Esso toglie a chi lo manifesta, come a chi lo subisce, la speranza, e con essa l’iniziativa e la tenacia necessarie ad ogni cammino di recupero.

Rafforza questo pregiudizio il fatto che chi, parente o conoscente, si trova a contatto con colui che “sta male con la mente”, avverte un senso di impotenza: non trova il modo di aiutarlo concretamente, non vede miglioramenti, assiste a periodiche ricadute. Inoltre, il senso comune e la memoria collettiva mantengono ancora l’immagine tradizionale del sofferente internato nel manicomio: un’istituzione che non solo non è curativa, ma - dietro l’apparenza di assistenza globale e protettiva - reprime e occulta i disturbi, distrugge la vita psichica e fa regredire il ricoverato.
Il manicomio rende cronica la sofferenza temporanea, è il vero luogo di non ritorno, rende chi vi entra “segnato per la vita” e sancisce, agli occhi propri e a quelli altrui, l’attributo di incurabile.Viceversa, nessuna base scientifica giustifica l’idea che gli stati di alterazione mentale siano in quanto tali irreversibili.

Ecco perché una legge recente e innovativa ne sancisce in Italia la chiusura definitiva di tutti i manicomi.



4° PREGIUDIZIO: SUPERIORITÀ DELLE CURE PRIVATE SU QUELLE PUBBLICHE

“Il privato è sempre meglio del pubblico”
“Nei servizi pubblici non ti danno retta e ti rovinano”
Il ricorso esclusivo a cure private, in questo settore, è quasi sempre insufficiente o parziale

“Nei servizi pubblici vanno i matti, non c’è riservatezza”

Questo pregiudizio è alimentato dalla diffidenza che generalmente investe, nel nostro paese, ogni tipo di servizio pubblico, quello sanitario in particolare.

Si aggiunga il fatto che lo stato di sofferenza mentale induce, sia in chi ne è affetto consapevolmente, sia in chi gli si trova vicino, un senso di censura e di vergogna.
A differenza di altri tipi di patologie, la malattia mentale non è accettata e pertanto viene spesso occultata.
La struttura pubblica è soggetta ad un ulteriore pregiudizio: è considerata anonima, si fatica ad immaginare un rapporto e un coinvolgimento personale con gli operatori, si pensa di non poter avere opportune attenzioni per la propria persona e riservatezza per i problemi di cui si è più gelosi.

E’ chiaro che questo modo di interpretare e vivere la malattia psichica, unito alla diffidenza per il servizio sanitario pubblico, non può non sfociare in una sorta di culto per la dimensione privata. Tuttavia, questo pregiudizio, per quanto giustificato da ragioni oggettivamente e soggettivamente comprensibili, si rivela oramai falso.

E’ falso perchè si basa su una concezione del disturbo mentale semplicistica e scientificamente inesatta: quella per cui il soggetto sofferente è un individuo da sottoporre a una cura che riguarda unicamente lui (il suo organismo) e il suo medico curante: proprio come avviene per la cura di una gamba rotta, o un’operazione alle tonsille. Non è così: il paziente è anche l’espressione più evidente di una sofferenza familiare o sociale. Per comprendere e fronteggiare tale situazione occorre il lavoro coordinato e prolungato di molte persone: psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere, servizi pubblici del territorio (scuola, tribunale, enti socio-assistenziali pubblici e privati, ecc.) in collaborazione costante con i familiari del paziente.

L’assistenza pubblica è in grado, seppure con difficoltà, di muovere tutto questo; l’assistenza privata anche per motivi economici non può farlo.

Come avviene in altri campi della medicina (la grande chirurgia, le malattie infettive, ecc.) anche per la psichiatria vale il principio che le strutture pubbliche, seppure carenti di alcuni confort tipici del servizio privato, sono quelle in cui si possono avere le prestazioni di maggiore affidamento; in esse operano e fanno scuola i professionisti di maggior prestigio, in esse si svolge l’aggiornamento e la ricerca scientifica.

Da questi elementi risulta abbastanza plausibile che anche la ricerca di un buon rapporto personale con il medico curante va vista sotto una luce totalmente diversa. Lo psichiatra e lo psicologo della struttura pubblica concorrono ad individuare ed attenuare i fattori dei disturbi psichici del paziente, con una azione che si spinge ben oltre le quattro pareti di una casa di cura e al di là degli effetti di uno psicofarmaco. Essi sono disposti - con il progetto terapeutico personalizzato - ad assistere e proteggere, con strumenti giuridici e amministrativi oltre che psichici, il soggetto sofferente e il suo gruppo familiare nella propria esistenza quotidiana.

Sebbene la situazione attuale dell’assistenza evidenzi gravi carenze sul piano strutturale e operativo, il servizio psichiatrico pubblico dimostra comunque di poter offrire interventi più qualificati ed efficaci del servizio privato, specie per i casi gravi che richiedono l’intervento di molti operatori con capacità diverse e per lungo tempo.