Roma 27 maggio 2010
Salute Mentale
le Associazioni dei Familiari e degli Utenti presentano
le buone e cattive pratiche nelle diverse realtà regionali
Relazione di Gisella Trincas Presidente Nazionale U.N.A.SA.M
Questa Manifestazione Nazionale nasce dalla volontà delle nostre Associazioni, e delle migliaia di familiari che ad esse aderiscono, di riportare al centro del confronto istituzionale, a tutti i livelli, il problema della qualità degli interventi nel sistema pubblico e privato, nel rispetto della dignità e nella libertà della persona umana che vive l’esperienza della sofferenza mentale.
Le nostre storie personali vengono da lontano, ognuna con il suo bagaglio di sofferenza, fatica, sacrifici, e la nostra esperienza collettiva parte dal consapevole riconoscimento e condivisione della validità del processo di civiltà avviato nel 1978, in Italia, con le Leggi di Riforma Sanitaria e Psichiatrica.
Processo lungo e complesso che non ha visto sempre, i diversi livelli istituzionali, impegnati, in ugual misura, dappertutto; e che ha portato solo negli anni 98/2000 al superamento della gran parte degli ospedali psichiatrici. Si può dire quindi che il vero processo di cambiamento parte da lì, da quelle donne e quegli uomini liberati dalla violenza e dal non senso del manicomio, dalla liberazione degli operatori, dalla possibilità del riutilizzo di enormi risorse finanziarie e immobiliari per la restituzione di diritti e di senso.
Negli anni abbiamo conquistato:
- due Progetti Obiettivo Nazionali;
- una Conferenza Governativa sulla Salute Mentale (nel 2001);
- Le Linee Guida Nazionali emanate nel 2008 dal Ministero della Sanità e approvate dalla Conferenza delle Regioni;
- La decisione assunta dalla Conferenza delle Regioni di destinare non meno del 5% delle risorse sanitarie alla salute mentale;
- L’Approvazione da parte della Conferenza delle Regioni delle linee guida sul trattamento sanitario obbligatorio elaborato dal gruppo tecnico interregionale;
- Il Piano d’Azione della Conferenza di Helsinky approvato dai Ministri della Comunità Europea nel 2005;
- La Risoluzione del Parlamento Europeo approvata nel 2009.
Ma anziché continuare a percorrere con decisione la strada tracciata da questi provvedimenti, ci ritroviamo, ancora una volta, a dover fare i conti con delle proposte parlamentari che nulla hanno a che vedere con la realtà vera delle questioni, con i nostri bisogni, con i diritti di cittadinanza delle persone colpite dalla sofferenza mentale, col diritto di tutti noi alla tutela della nostra salute mentale.
Noi siamo stanchi di inseguire lo Stato, noi siamo stanchi di inseguire le Regioni, e vogliamo evidenziare con estrema chiarezza quali sono i punti di caduta su cui si deve intervenire senza ulteriori ritardi, senza ulteriori penalizzazioni per le famiglie e le persone interessate, con determinazione e severità se necessario.
Noi oggi vogliamo, ancora una volta, rappresentare il nostro punto di vista sullo stato delle cose, la condizione di pesante squilibrio esistente sul territorio nazionale, relativamente alla qualità, organizzazione e diffusione dei servizi di salute mentale.
A causa anche della disattenzione nazionale e della mancata vigilanza, è mancata e ancora manca, in tante Regioni, una programmazione globale che investa l’intero territorio regionale e garantisca una equa distribuzione delle risorse finanziarie e umane necessarie. Una programmazione che, nel riconoscimento della validità del modello Dipartimentale, metta tutte le Aziende Sanitarie Locali nelle condizioni di offrire quella pluralità di interventi fondamentali per una buona ed efficace presa in cura. A partire dai centri di salute mentale organizzati nelle 24 ore, 7 giorni su 7.
Registriamo quindi che in gran parte dei servizi territoriali di salute mentale, l’intervento di cura è prevalentemente di tipo ambulatoriale, con visite mediche (quando va bene) ogni due tre mesi; la cura è centrata sull’intervento farmacologico (la cui spesa è arrivata a livelli spropositati) e l’attività di prevenzione e riabilitazione è sostanzialmente marginale.
La neuropsichiatria dell’infanzia e della adolescenza non comunica stabilmente e strutturalmente con i servizi di salute mentale dell’età adulta e così pure i servizi per le dipendenze. Determinando quindi una situazione inaccettabile nel passaggio tra un servizio e l’altro, nella discontinuità della presa in cura e quindi, generando abbandono.
Le situazioni più gravi sono quelle che maggiormente soffrono della cattiva organizzazione dei servizi in quanto sono quelle che richiederebbero una maggiore e costante presenza di operatori della salute mentale nei luoghi dove le persone vivono.
Non dappertutto le cose vanno male, a dimostrazione che se si vuole si può.
Possiamo trovare in tutte le Regioni, in alcune Aziende Sanitarie Locali e alcuni Dipartimenti di Salute Mentale, esempi di buone pratiche. Ben organizzati servizi territoriali capaci di farsi carico della domanda di intervento e di aiuto provenienti dalle comunità locali. Luoghi in cui, superando pregiudizi e stigma, sono state messe in atto politiche e pratiche di presa in cura globale e continuativa e sono stati garantiti i percorsi riabilitativi e di inclusione sociale indicati dai nostri Progetti Obiettivo Nazionali.
In questi luoghi simbolo (che come dimostreranno le relazioni delle delegazioni possiamo trovare in ogni regione), i risultati sono stati particolarmente positivi e hanno dimostrato che anche nelle situazioni più gravi, le persone che vivono la condizione della sofferenza mentale, se precocemente e correttamente prese in cura, adeguatamente sostenute, possono migliorare notevolmente o guarire, ed essere restituite alla vita sociale e lavorativa.
Da queste buone pratiche si deve partire per riconoscerle, valorizzarle e diffonderle nel resto del territorio nazionale.
Gli interventi territoriali di cura, assistenza e abilitazione devono essere quindi offerti e proposti in tutte le fasi della condizione di sofferenza, con trattamenti orientati verso la ripresa, verificabili e valutabili costantemente. Come sottolineato dalla Risoluzione del Parlamento Europeo “… le persone colpite da patologie mentali devono essere curate e assistite con dignità e umanità… i servizi di cura e di assistenza medica devono essere efficaci, di elevata qualità, accessibili a tutti e deve esserne assicurato il carattere universalistico; …il diritto delle persone a essere curate o a non essere curate dovrebbe essere chiaramente inteso; … tali persone dovrebbero, nella misura del possibile, partecipare alle decisioni sulle proprie cure ed essere ascoltate collettivamente per quanto riguarda i servizi;… gli effetti collaterali dei medicinali eventualmente prescritti dovrebbero essere ridotti al minimo e dovrebbero essere fornite informazioni e consigli alle persone che desiderino interrompere la cura in modo sicuro…”
Qui si pone con urgenza la questione del Consenso Informato. Tutti hanno il diritto di conoscere i rischi e i benefici del trattamento proposto e di potervi aderire volontariamente e con cognizione di causa. La non ricerca del consenso e quindi dell’alleanza terapeutica produce sfiducia nel trattamento e negli operatori e di conseguenza l’abbandono del servizio. Oppure interventi “obbligatori” che in alcuni servizi rischiano di costituire la norma compromettendo alcune volte in maniera definitiva il rapporto di fiducia che non dovrebbe mai essere messo a rischio
Un’altra questione su cui vogliamo portare l’attenzione di tutti, riguarda il funzionamento dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura nella maggioranza dei quali permangono modalità organizzative e operative coercitive, lesive della dignità e della libertà delle persone. In tutte le Regioni d’Italia ad eccezione del Friuli Venezia Giulia, vi sono servizi ospedalieri che hanno le porte chiuse a chiave e praticano la contenzione fisica (in alcuni di questi – vedasi l’esempio della Sardegna, Puglia, Campania ed Emilia) sono morte persone durante la contenzione prolungata per giorni e giorni). La contenzione fisica è espressamente considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità violazione dei diritti umani e noi chiediamo che questa pratica (che qualcuno considera atto medico) venga espressamente proibita in qualunque servizio sanitario. Si può accettare che degli esseri umani possano morire in un ospedale perché legati? NO! Non si può accettare, non si deve accettare, non lo devono accettare coloro i quali sono chiamati a garantire la sicurezza e la salute dei cittadini. Noi familiari non lo accettiamo!
In alcuni Diagnosi e Cura inoltre possiamo trovare le guardie giurate, in altre le telecamere a circuito chiuso, in altre ancora le porte hanno lo spioncino (proprio come le porte delle carceri) e gli ambienti non sono confortevoli.
Eppure anche per quanto riguarda gli interventi ospedalieri per l’urgenza e l’emergenza troviamo, in ogni regione, straordinari esempi di buona pratica. Servizi dove non si legano le persone da trent’anni, le porte sono aperte, non si pratica l’elettroschock, gli ambienti sono caldi e accoglienti e il personale non vive condizioni di pesante frustrazione.
Combattere luoghi che violano i più elementari diritti umani è nostro preciso dovere e lo dobbiamo fare senza alcun tentennamento perché siamo dalla parte della ragione. Lo stesso Parlamento Europeo nella sua Risoluzione dello scorso anno, “… ritiene che il ricorso alla forza sia controproducente, così come la somministrazione coatta di farmaci, e che qualsiasi forma di ricovero in strutture con posti letto e di somministrazione coatta di farmaci debba essere limitata nel tempo e, nella misura del possibile, essere regolarmente riveduta ed effettuata con il consenso del paziente o, in assenza di quello, in ultima istanza, con la convalida di una autorità civile … è del parere, inoltre, che vada evitata qualsiasi forma di restrizione della libertà personale, in particolar modo le contenzioni, per le quali sono necessari un monitoraggio, un controllo e una vigilanza delle istituzioni democratiche, a garanzia dei diritti della persona e per limitare eventuali abusi”.
E’ con forza quindi che poniamo la questione delle cattive pratiche nei servizi psichiatrici di diagnosi cura e vorremo che fossero conosciute da tutti le positive esperienze di quei diagnosi e cura dove si lavora nel pieno rispetto dei diritti umani, rispettando i parametri di efficienza ed efficacia. Nelle situazioni di urgenza ed emergenza abbiamo bisogno di poterci affidare al servizio ospedaliero senza dover temere che la richiesta di cura si trasformi in azioni lesive dei diritti e della salute delle persone. E in questi ultimi anni abbiamo registrato una ripresa massiccia di pratiche che pensavamo avviate verso il totale abbandono. Un infermiere coraggioso contesta al suo primario la pratica della contenzione e delle porte chiuse e afferma “ …non siamo di fronte ad uno stato di necessità quando una persona, che non vuole a tutti i costi essere rinchiusa in reparto, sferra qualche calcio alla porta, urla, impreca,minaccia…non è stato di necessità quando una persona disturba molto perché è confusa ed è notte,…non è stato di necessità quando si teme solo che cada dal letto perché è anziana e disorientata,…credo sia giunto ormai il momento di iniziare un percorso per superare questa pratica sempre più indifendibile. Sono sicuro che troverà gli infermieri, se adeguatamente motivati dai responsabili e liberati da condizionamenti, pronti ad impegnarsi personalmente con entusiasmo”
Anche per superare queste criticità pensiamo si debba riportare la questione al nodo vero. Rimettere al centro la persona umana e i suoi bisogni, favorendo i servizi di salute mentale comunitaria, con centri di salute mentale in grado di assicurare la presa in cura nelle 24 ore e 7 giorni su 7. Con le piante organiche al completo e le diverse figure professionali necessarie, nel rispetto di quanto indicato dal Progetto Obiettivo Salute Mentale, con risorse finanziarie adeguate a rispondere ai molteplici bisogni che una persona che vive la sofferenza mentale esprime.
Occorre percorrere la strada dell’integrazione socio-sanitaria e della co-progettazione.
Occorre garantire investimenti per sostenere l’impresa sociale e quindi favorire l’inclusione sociale delle persone in carico ai servizi di salute mentale, anche e soprattutto attraverso il lavoro, la formazione, la casa, la socialità, le relazioni affettive.
Un punto fondamentale di questo processo di cura e di ripresa riguarda l’abitare, la casa.
Ed è su questo punto che riscontriamo maggiori difficoltà operative da parte dei servizi dovute alla scarsità di risorse. Occorre quindi poter programmare tali interventi con la certezza delle risorse. Ma occorre anche mettere ordine nel variegato “sistema della residenzialità”. Noi riteniamo che i requisiti strutturali dell’abitare in salute mentale non debbano differenziarsi dai requisiti previsti per le civili abitazioni. Questo favorirebbe l’attivazione di gruppi di convivenza, di percorsi di abitare assistito, di piccole comunità, a diversa intensità di assistenza secondo il bisogno di ciascuno, migliorando la qualità della vita e le condizioni di salute di tante persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale. In diverse regioni si sono programmati interventi di questo tipo che danno dei buoni risultati.
Sono necessarie campagne periodiche di sensibilizzazione e di lotta allo stigma e ai pregiudizi, con il coinvolgimento delle scuole, dell’Università, degli Enti Locali, della società civile.
Si deve procedere, senza ulteriori indugi, al definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, bloccare qualunque velleità regionale di costruzione di luoghi regionali specifici per i dimessi dagli OO.PP.GG. Ci sono delle esperienze molto importanti e positive che dimostrano che si può affrontare il problema delle persone internate negli OO.PP.GG. attraverso percorsi personalizzati di reinserimento sociale. Restituendo le persone alla vita, al loro territorio, ai loro familiari. Non si possono ulteriormente sopportare le inaccettabili disumane condizioni in cui sono costrette a vivere persone fragili la cui unica colpa è quella di vivere una condizione di sofferenza mentale.
La nostra ferma opposizione ai luoghi e alle pratiche disumane deve costituire la parola d’ordine delle nostre azioni. Noi non possiamo più permettere ritardi, omissioni, disattenzioni, indifferenza.
Le questioni sono urgenti, complesse, ma affrontabili e ognuno è chiamato a fare la sua parte.
Noi possiamo fare pressione verso le Regioni con il nostro impegno quotidiano, noi possiamo continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica, noi possiamo continuare a fare ciò che facciamo da decenni. Ma il Governo centrale deve fare la sua parte. Deve trovare gli strumenti operativi per costringere le Regioni al rispetto della Legge di Riforma Sanitaria. A rispettare il diritto dei cittadini alle migliori cure possibili, per migliorare la propria condizione di salute, la qualità della propria esistenza.
Noi ci opporremo energicamente a qualunque tentativo di riportare la psichiatria ad una dimensione custodialistica e repressiva ed esprimiamo con convinzione il nostro totale dissenso alla dissennata proposta dell’Onorevole Ciccioli di riformare la 180 e la 833. Il ricorso a trattamenti sanitari obbligatori prolungati, per rispondere alle situazioni di urgenza/emergenza, oltre che dannoso e assurdo dal punto di vista terapeutico, contrasta con il dettato costituzionale. Noi riteniamo totalmente condivisibili i contenuti del documento emanato dalla Conferenza delle Regioni che ha approvato all’unanimità il testo elaborato dal “Gruppo tecnico interregionale salute mentale” nel 2008. Chiediamo quindi che il Ministero della Sanità solleciti il rispetto di tale documento da parte di tutte le Regioni. Così come chiediamo che le Regioni rispettino le Linee Guida emanate dal Ministero nel 2008.
Noi non permetteremo che vengano strumentalizzate le difficoltà e le sofferenze di tanti familiari, non permetteremo che attraverso la revisione della legge di riforma si trasferiscano ingenti risorse finanziarie pubbliche verso le cliniche private in cui rinchiudere le persone “non collaboranti”. L’impegno deve essere per la difesa del servizio pubblico e per l’individuazione e il superamento di tutti quei luoghi in cui le persone sono “istituzionalizzate a vita” in condizioni di abbandono. Li indicheremo uno per uno!
Noi siamo una realtà associativa forte e consapevole dei nostri diritti e dei diritti dei nostri cari e vogliamo porci con le istituzioni, come abbiamo sempre fatto, con spirito costruttivo e collaborativo. Chiediamo quindi che venga ripristinata la Commissione Ministeriale Salute Mentale e che siano esortate le Regioni a costituire o ricostituire le Commissioni Regionali Salute Mentale e i Comitati di Dipartimento.
Il nostro diritto alla partecipazione, alla programmazione e alla verifica non può essere ulteriormente disatteso.
Ribadiamo quindi la necessità che in ogni servizio di salute mentale e in ogni livello istituzionale si riconosca la “crescente capacità degli utenti, dei familiari e delle Associazioni, ad affermare autonomamente l’area dei propri bisogni e delle risposte attese” (come correttamente indicato nelle Linee Guida Ministeriali sulla Salute Mentale) e che “i Dipartimenti operino affinché siano favoriti livelli partecipativi che esprimano il raggiungimento di precisi obiettivi, come ad esempio la costruzione di un progetto terapeutico individuale, personalizzato e condiviso”.
Lascio alle relazioni dei Presidenti delle delegazioni regionali il completamento di questo intervento, auspicando un riscontro a breve di quanto da noi portato all’attenzione delle Autorità Istituzionali del nostro Paese.