Pubblichiamo la relazione di Gisella Trincas, Presidente dell’UNASAM all’incontro organizzato dalla commissione Sanità del Senato dal titolo: “Salute Mentale, OPG e Diritti Umani” svoltosi a Roma, l’11 novembre 2014 presso il Senato della Repubblica, Palazzo Giustiniani.
Le Associazioni dei Familiari nel processo di miglioramento dei servizi di salute mentale: criticità e proposte.
Con questo intervento, vogliamo portare all’attenzione della Presidente De Biasi, dell’intera Commissione Sanità del Senato, e dei partecipanti al Seminario, la nostra forte preoccupazioni per il progressivo stato di impoverimento in cui si trovano ad operare la gran parte dei Dipartimenti di Salute Mentale, evidenziandone le criticità più marcate, ma anche formulando proposte operative,.
Rappresentiamo le famiglie che utilizzano i servizi di salute mentale e le Associazioni impegnate nelle diverse regioni, con iniziative culturali e sociali, finalizzate al pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza di chi vive la condizione della sofferenza mentale e contribuendo alla costruzione di una società giusta e solidale.
Sappiamo, per conoscenza diretta, che tante persone possono riacquistare una soddisfacente qualità della vita, e mantenere o riconquistare un ruolo sociale, se sostenute con adeguati trattamenti e percorsi terapeutico-riabilitativi orientati alla ripresa, alla guarigione possibile.
Il nostro principale obiettivo è perciò la difesa e la valorizzazione dei Dipartimenti di Salute Mentale per il potenziamento e il miglioramento dei servizi di salute mentale di comunità, per la presa in carico globale e per la eliminazione di tutte le situazioni di abbandono, segregazione e istituzionalizzazione esistenti che cronicizzano e determinano disabilità.
L’Italia dichiara di spendere per la salute mentale il 5% della spesa sanitaria (come richiesto dal Progetto Obiettivo Nazionale), ma nella realtà la spesa risulterebbe decisamente inferiore (3/4%). Secondo i dati del 2011 dell’O.M.S. spenderebbe quanto l’Italia, l’Albania il 4%. La Grecia il 5%, mentre la Francia il 12,01%, la Germania l’11, l’Inghilterra il 10,82 e l’Olanda il 10,62. Il problema che poniamo non riguarda solo quanto si spende per la salute mentale ma come si spende.
L’utenza che si rivolge ai servizi di salute mentale è in continuo aumento, anche a causa delle difficili e precarie condizioni socio-economiche di ampi settori di popolazione che non trovano soluzione. La domanda di aiuto è complessa e diversificata e i servizi di salute mentale, che negli anni si sono sempre di più impoveriti di risorse umane e finanziarie, (perdendo anche la spinta innovativa che in alcuni momenti storici li aveva coinvolti), non sono in grado di far fronte neppure a questa nuova utenza..
Lo stato dei servizi, visto dal nostro punto di osservazione, è questo;
Un minoritario numero di CSM sono funzionanti sulle 24 ore e offrono servizi di eccellenza, sono aperti sul territorio e collaborano con una ampia rete sociale e solidale. Altri sono aperti 12 ore per 6 giorni alla settimana, altri ancora per poche ore al giorno alcuni giorni della settimana. Le urgenze e le emergenze sono gestite dalle guardie mediche, dai pronto soccorso e dai servizi psichiatrici di diagnosi e cura con tutte le difficoltà che ne derivano in termini di continuità terapeutica.
E’ carente in molti CSM l’organizzazione e la gestione dell’accoglienza e del primo contatto con il servizio.
Le piante organiche dei DSM sono largamente insufficiente e non vengono rispettati gli standard previsti dal Progetto Obiettivo Nazionale. Sono carenti o assenti molte delle figure professionali più orientate sul versante riabilitativo: psicologi, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione, educatori
Non esiste una rete organizzata e integrata di servizi, Non vi sono indicatori omogenei e completi sulle attività dei DSM, indispensabili affinchè le famiglie e gli utenti possano valutare i servizi e le eventuali disomogeneità.
Gli interventi nei CSM sono prevalentemente di tipo ambulatoriale con visita psichiatrica periodica e prescrizione massiccia di psicofarmaci. Offrire prevalentemente farmaci e posti letto non produce “salute Mentale” ma rafforza nel contesto sociale il pregiudizio della incurabilità e pericolosità da tenere costantemente sotto controllo.
Accompagnare le persone ad accedere ai diritti di cittadinanza quali l’abitare, la formazione, il lavoro, la socialità, l’affettività, e quindi ad un percorso di guarigione, non costituisce prassi costante e abituale dei servizi. Ciò è dovuto in parte all’assenza di adeguate risorse finanziarie e in parte ad una formazione culturalmente arretrata di gran parte degli operatori, cha faticano a riconoscere la persona sofferente mentale quale cittadino portatore di diritti che esprime dei bisogni, vedendo unicamente i sintomi di una malattia grave da trattare prevalentemente con i farmaci. Tanti medici non credono nella possibilità di guarigione, dichiarano che i farmaci dovranno essere assunti per tutta la vita, tolgono ogni speranza ai loro pazienti e alle famiglie.
E’ quasi impossibile riuscire ad ottenere supporto psicologico a causa della scarsissima presenza di tali figure professionali, le famiglie sono quindi costrette, con grandi sacrifici, a ricorrere alle psicoterapie a pagamento, oppure a rinunciarvi.
E’ difficile per molti familiari partecipare al percorso di cura del proprio congiunto anche se convivente. Molti psichiatri non parlano con i familiari per questioni, dicono, di privacy. Pratica questa non riscontrabile in altri settori della medicina.
Vi è difficoltà ad ottenere interventi domiciliari su richiesta dei familiari per affrontare o prevenire situazioni di crisi. Di norma gli interventi domiciliari si attivano per i trattamenti sanitari obbligatori;
E’ molto difficile riuscire a cambiare medico psichiatra quando viene a mancare il rapporto di fiducia;
Non rientra nel lavoro routinario dei centri di salute mentale la collaborazione con i medici di medicina generale;
Sono carenti, sul territorio, gli interventi di informazione, prevenzione e promozione della salute mentale.
Nella maggior parte dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, permane una cultura custodialistica e repressiva. Ci riferiamo specificatamente alla pratica della contenzione (legare anche per giorni e giorni persone in trattamento sanitario obbligatorio privandole della libertà e della loro dignità), una pratica ripugnante di una violenza inaudita che ci indigna e ci fa male come cittadini oltre che familiari. Una pratica illegale che viola la Legge 180 e la Carta Costituzionale. Una pratica che ha portato alla morte persone fisicamente sane affidate alle cure psichiatriche in trattamento obbligatorio, come ad esempio Giuseppe Casu a Cagliari e Franco Mastrogiovanni a Vallo della Lucania. Le porte chiuse dei reparti impediscono, anche a chi è ricoverato volontariamente di potersi muovere liberamente esercitando un vero e proprio sequestro di persona. E’ assolutamente dimostrabile che si può curare senza ledere i diritti umani e con la partecipazione attiva delle persone, anche quando sono in crisi. Come dimostrano quei pochi Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura che lavorano da lungo tempo senza contenzione e con le porte aperte.
Dobbiamo con amarezza registrare che in questo ultimo decennio, si sono moltiplicati i luoghi della istituzionalizzazione a vita in strutture residenziali pubbliche e private (con varie definizioni), istituti e cliniche private che i Dipartimenti di Salute Mentale non sono in grado di controllare e arginare; luoghi di custodia e intrattenimento senza alcun serio percorso riabilitativo (verificabile) che restituisca senso, dignità, speranza, futuro alle persone. Luoghi tal volta degradati e degradanti. Vi è oramai un mondo variegato di “strutture” fuori da qualunque controllo che hanno inoltre costi differenziati ingiustificabili. Tra questi segnaliamo le R.S.A. che stanno diventando i nuovi contenitori dell’umana sofferenza (anziani, sofferenti mentali, persone con handicap fisico, con malattie degenerative, ecc). Con il sistema dei moduli sono veri e propri istituti chiusi che accolgono centinaia di persone non garantendo una buona qualità della vita e percorsi riabilitativi. Un sistema da rivedere che porta via alle Regioni ingenti risorse finanziarie, ed è per le famiglie, chiamate alla compartecipazione, un costo insostenibile.
Le residenze devono essere luoghi dell’abitare e della ripresa, collocate in contesti urbani per favorire l’integrazione, di piccole dimensioni, con personale di supporto numericamente sufficiente e professionalmente preparato a sostenere le persone nei loro individuali percorsi di ripresa.
Noi ribadiamo che vadano favoriti e sostenuti i piccoli gruppi di convivenza, l’abitare assistito, le piccole comunità terapeutiche riabilitative e che i Comuni devono garantire una quota di alloggi agli utenti dei servizi di salute mentale.
A causa delle politiche restrittive e dei tagli indiscriminati delle risorse, e del conseguente e gravissimo impoverimento delle piante organiche dei Dipartimenti di Salute Mentale abbiamo assistito ad un sempre più preoccupante indebolimento degli interventi di “salute mentale” e al diffondersi e rafforzarsi di pratiche di intervento prevalentemente di tipo ambulatoriale/farmacologico nella maggior parte dei servizi territoriali con appuntamenti programmati, quando va bene, una volta al mese.
Ciò non solo non migliora le condizioni di salute delle persone che si rivolgono ai centri di salute mentale, ma è in chiara contraddizione con gli scopi dichiarati dei tagli, in quanto comporta per la collettività costi decisamente maggiori rispetto ad un ben organizzato sistema di prevenzione, di cura e di riabilitazione. Ed è inoltre in contrasto con le norme che il nostro Paese si è dato.
Evidenziamo inoltre una profonda discriminazione tra i cittadini “fortunati”che risiedono in territori in cui i servizi funzionano (pur in ristrettezze economiche) e i risultati sono eccellenti; e i cittadini che risiedono in territori in cui i servizi sono poveri e male organizzati. O che risiedono in regioni che fanno un utilizzo improprio delle risorse, concentrate prevalentemente sul mantenimento delle strutture e degli istituti privati a scapito dei Piani Terapeutici Individuali e dei budget di salute, gestiti dai Dipartimenti di Salute Mentale, in collaborazione con le Associazioni dei familiari e degli utenti, della cooperazione sociale e di tutte quelle forze sane della società civile, che potrebbero consentire alle persone di restare nella comunità di appartenenza e mantenere i legali affettivi e relazionali.
Poniamo quindi con forza la questione del pieno funzionamento di tutti i Dipartimenti di Salute Mentale, affinchè siano messi nelle condizioni di offrire risposte differenziate alla complessità dei bisogni tutti i giorni dell’anno 24 ore su 24, ben distribuiti sul territorio nazionale.
Vorremo, dalle Regioni, precise scelte di politica sanitaria e di welfare, che mettano in campo tutte le risorse culturali e finanziarie che occorrono e che possano garantire percorsi di cura e di riabilitazione personalizzati che restituiscano diritti e possibilità: casa, lavoro, relazioni affettive e sociali. Contribuendo quindi al ben-essere dell’intera comunità.
Eliminando quelle disuguaglianze inaccettabili tra regioni, all’interno della stessa regione, addirittura di uno stesso dipartimento di salute mentale.
Poniamo inoltre la questione del superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari nei termini indicati dal Comitato Nazionale Stop Opg di cui facciamo parte, e senza ulteriori rinvii. I trattamenti disumani subiti, violano la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la nostra Carta Costituzionale. Noi siamo contrari alla costruzione delle REMS che non farebbero altro che riproporre coercizione e custodia e auspichiamo, nel rispetto della legge 81, percorsi di cura e di riabilitazione personalizzati, sul territorio di appartenenza, a carico dei Dipartimenti di Salute Mentale, orientati al miglioramento delle condizioni di vita e di salute delle persone internate, alla restituzione dei loro diritti di cittadinanza e dei loro affetti.
Per quanto detto, riteniamo quindi non più rinviabile l’impegno su questi piani di intervento:
Il pieno riconoscimento del ruolo sociale e politico delle Associazioni dei familiari e degli utenti, attraverso la partecipazione alle consulte dipartimentali e alle commissioni regionali salute mentale. Noi chiediamo che venga garantita la partecipazione delle Associazioni dei familiari e degli utenti, ai processi decisionali nella programmazione dei servizi e nella verifica dei risultati. Le Associazioni, radicate sul territorio capaci di lavorare in rete col restante mondo del volontariato e dell’impresa sociale, con le proprie competenze, esperienze e sapere pratico, sono una risorsa straordinaria a cui tutti i Dipartimenti dovrebbero guardare con grande interesse, in quanto risorsa attiva del territorio dove si opera.
La riattivazione della Commissione Nazionale Salute Mentale presso il Ministero della Salute quale strumento di consultazione, monitoraggio e programmazione delle politiche di salute mentale su tutto il territorio nazionale.
L’emanazione di nuove Linee guida nazionali per la salute o un Nuovo Progetto Obiettivo (sulla traccia di quanto già indicato dalle Linee di indirizzo per la salute mentale del 2008, in quanto documento partecipato e condiviso), che garantiscano uniformità di comportamenti da parte delle Regioni, delle Aziende Sanitarie Locali e dei Dipartimenti di Salute Mentale, nella programmazione delle politiche di salute mentale e degli interventi, nella integrazione socio-sanitaria, sulla base delle reali necessità della comunità e dei bisogni sociali e sanitari delle persone. Chiediamo un impegno concreto dei Dipartimenti orientato al “miglioramento continuo della qualità, attraverso una rigorosa e continua revisione degli esiti dei trattamenti, implementando quelli che si dimostrano efficaci ed eliminando quelli che invece non producono risultati” (P.Carozza). Nel rispetto della normativa nazionale in vigore, degli indirizzi e raccomandazioni della Commissione Europea e della Organizzazione Mondiale della Sanità, del Piano d’Azione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il 2013/2020. Non c’è bisogno di nuove leggi perché quelle che abbiamo sono chiare ed inequivocabili.
La revisione delle piante organiche dei Dipartimenti di Salute Mentale e l’implementazione delle figure professionali mancanti (psicologi, assistenti sociali, terapisti della riabilitazione, sociologi, educatori, ecc.)
L’attuazione da parte dei servizi di salute mentale (come indicato dal PON 98/2000), di una prassi e di un atteggiamento non di attesa ma mirati a intervenire attivamente e direttamente nel territorio (domicilio, scuola, luoghi di lavoro ecc.), in collaborazione con le associazioni dei familiari e di volontariato, con i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali;
Il potenziamento dei servizi per la tutela della salute mentale in età evolutiva il cui funzionamento è essenziale per la prevenzione, la diagnosi e il precoce trattamento del disturbo psichico (vedi Mozione votata al Senato della Repubblica il 3/10/2012: “Sulla salute mentale in età evolutiva”); la definizione di protocolli di collaborazione con i DSM per la continuità terapeutica nel passaggio età evolutiva/età adulta;
Vanno definiti i Livelli essenziali di assistenza in salute mentale e la certezza di risorse finanziarie adeguate ai Dipartimenti di Salute Mentale per i badget di salute.
Pensiamo sia necessario l’avvio di una nuova indagine parlamentare conoscitiva sul reale stato dei servizi di salute mentale in Italia, sulla efficacia degli interventi, sulla ricaduta degli stessi nella qualità della vita delle persone, delle loro famiglie, della comunità. Sulla violazione dei diritti umani. Pensiamo possa essere di grande utilità una mappatura delle buone pratiche esistenti in salute mentale, orientate alla guarigione, all’emancipazione sociale, al rispetto dei diritti umani. Buoni esempi che possiamo trovare in tutte le regioni, portati avanti da servizi territoriali di salute mentale con operatori illuminati, da associazioni di familiari e di volontariato, da cooperative sociali, ma anche da gruppi e movimenti culturali. Esempi di buone pratiche che vanno conosciute proprio per rafforzare l’idea che si può fare salute mentale e che tutti siamo chiamati all’assunzione della responsabilità. Le relazioni che le nostre delegazioni regionali hanno preparato per questo Seminario, e che mettiamo a disposizione, pensiamo possano essere utili per la costruzione di una prima mappatura delle buone e delle cattive pratiche.
Questo stato di forte criticità in cui operano tanti servizi di salute mentale (che ha determinato un senso di profonda sfiducia nelle famiglie e nelle persone che vivono la condizione della sofferenza mentale, ma anche negli operatori), richiede un doveroso e deciso intervento da parte di tutte le Istituzioni preposte alla tutela della salute (ma deve anche costituire azione prioritaria del Governo nazionale e dei governi delle regioni), che possa finalmente far cambiare passo al percorso di civiltà e di progresso avviato 35 anni fa e che ha trovato, e trova, non pochi ostacoli e continui tentativi di arretramento. Assumendo la visione di un mondo in cui la salute mentale sia valorizzata e promossa, dove i disturbi mentali siano prevenuti e le persone che ne soffrono siano in grado di esercitare i propri diritti umani e accedere a servizi di cura appropriati, di alta qualità e che promuovano il recupero della salute, in modo da raggiungere il più alto livello possibile di funzionamento e di partecipazione alla comunità, liberi da stigma e discriminazione. Come sottolineato dal Piano d’Azione 2013/2020 dell’O.M.S.