Il Congresso UNASAM del 27, 28, 29 novembre 2003 a Roma

menti malate famiglie sole

La salute mentale come questione nazionale ed europea “se si vuole si può e se si può si deve”

Nel congresso UNASAM tenutosi alla fine del novembre scorso a Roma, si sono confrontate alcune esperienze di “buone pratiche” realizzatesi in questi anni in diverse realtà locali italiane, protagoniste associazioni dei famigliari dei malati di mente in collaborazione con servizi pubblici che si rifanno alla psichiatria di comunità. L’incontro, a partire dalla relazione di Alain Topor, era centrato sul tema della “recovery”, cioè del miglioramento, della ripresa, della guarigione e, non a caso, ha visto gli interventi serrati dei pazienti, dei “matti” che hanno parlato dei loro problemi e delle loro esperienze di vita.
A mio avviso, ciò ha costituito una grande positiva novità del congresso: in Italia della follia hanno sempre parlato, ascoltati, prima gli psichiatri fra di loro, poi gli amministratori, successivamente le famiglie, ma mai prima d’ora i “matti”. Del resto, il movimento per la restituzione dei diritti di cittadinanza, il dispiegarsi del lavoro di “empowerment”, laddove e quando questo si è realizzato, dovevano produrre tale risultato.
Esso significa la piena consapevolezza della posizione centrale di chi sta male nella costruzione dei possibili, condivisi percorsi di salute, insieme ai servizi ed alle comunità di riferimento. Con quella di pazienti, è emersa la presenza di madri, sorelle, figlie, cioè di donne consapevoli della propria competenza nell’assistenza, del proprio sapere verificato in gruppo e nel rapporto con gli operatori professionisti della salute mentale.
Si tratta certamente di punte avanzate, ma non isolate, capaci di indicare linee di tendenza e sviluppi nel lavoro di salute mentale di straordinario interesse. Rovesciando i termini della questione, dal congresso UNASAM è emersa l’enormità dello spreco di risorse e opportunità per la prevenzione, la ripresa, la guarigione e il benessere che si produce quando i servizi pubblici sono o troppo poveri o troppo arroccati nelle proprie culture specialistiche e professionali. Ciò significa che già oggi, con le risorse dispiegate, sarebbe possibile fare molto di più, solo che si rafforzassero le collaborazioni fra servizi e famiglie nel rispetto della dignità di chi sta male perché soffre di un disturbo mentale, specie quando questo è grave.
Sono state denunciate anche situazioni pesanti e di vera controriforma in molte regioni governate sia dal centro-destra che dal centro-sinistra, in particolare quella della regione Lazio che ha di recente finanziato in modo spropositato il circuito neo-manicomiale delle cliniche private a danno dei Dipartimenti di salute mentale.
Il federalismo, come si sta realizzando in Italia, obbliga anche le associazioni delle famiglie a mettere a punto modi adeguati della propria presenza e capacità operativa per riuscire a interloquire presso le 21 regioni e i 21 sistemi sanitari.
Quella della salute mentale resta però, comunque, questione nazionale e dovrà diventare questione europea. I percorsi attraverso cui queste esigenze riusciranno, speriamo positivamente, a snodarsi sono quindi nelle mani di associazioni come l’UNASAM, ma anche in quelle della politica, dal governo e dal Parlamento nazionale alle Regioni, alle aziende Sanitarie, ai Comuni.
Luigi Benevelli

CONGRESSO U.N.A.SA.M.

“IL PUNTO SULLA SALUTE MENTALE: buone pratiche e percorsi di ripresa, Regione per Regione.”

Roma, 27, 28, 29 novembre 2003

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL PRESIDENTE Ernesto Muggia

Care amiche, cari amici,
dopo i ringraziamenti di rito a chi ci ha aiutato, ci ospita e interverrà nel corso del nostro lavoro, voglio dirvi, a nome dell’U.N.A.SA.M. che compie 10 anni adesso, quanto sono orgoglioso di accogliervi oggi qui a Roma in un luogo carico di simboli. Era un manicomio, uno dei più grandi d’Italia, con migliaia di ricoverati. Oggi ospita un Centro Studi, diversi uffici, un’accogliente Residenza. Il manicomio non c’è più, i manicomi in Italia (primo paese al mondo) non ci sono più. Delle eccezioni parleremo poi.
Ma questa impresa che ha richiesto 25 anni di faticoso cammino da quando (1978) le idee rivoluzionarie di Franco Basaglia sono divenute legge dello stato, non ha ancora risolto il problema della salute mentale in Italia.
Noi dell’U.N.A.SA.M. vogliamo confermare qui oggi ancora una volta la fedeltà a quell’idea e sostenerla fino alla sua completa attuazione, perché è la sola via finora sperimentata, capace di riaffermare i diritti di cittadini bisognosi di cure, sostenerli nella loro durissima lotta contro il male, migliorare la qualità della vita loro e delle loro famiglie.
Il paese si è come fermato sulla strada giusta della psichiatria territoriale. Grandi passi sono stati fatti, oltre 35000 operatori sono nei servizi pubblici, oltre 1300 sono le residenze protette diffuse in tutte le Regioni. Anche il privato offre servizi sia profit che non profit. Rispetto alla domanda però, siamo di fronte a un grande problema: una parte consistente rimane inevasa, pratiche buone e anche ottime sono riservate a un gruppo minoritario degli aventi diritto. Per questo l’U.N.A.SA.M. ha deciso di prendere pubblica posizione per evidenziare e mettere a nudo, Regione per Regione, quello che si fa o non si fa, quello che è urgente e indifferibile. L’accusa di inefficienza o peggio di inganno che da anni si diffonde nel settore della salute mentale in modo generico e qualunquistico, deve invece saper diventare puntuale e precisa, individuando la catena delle responsabilità e le opportune strategie di intervento, e non deve strumentalmente ricadere sulle associazioni di familiari più impegnate.
In gran parte delle residenze le terapie riabilitative sono ignorate, i pazienti entrano e non vengono più dimessi, rendendo così impossibile il turn over e insufficiente il numero di posti. Da cui liste di attesa, ricoveri fuori regione, abbandoni presso le famiglie. La sempre più grave carenza di operatori (ne mancano circa 7000) e le risorse finanziarie in costante progressiva diminuzione, rendono sempre più difficili le visite domiciliari, acuendo le situazioni di carico familiare eccessivo e intollerabile.
A conferma di quanto sopra, una nostra piccola inchiesta precongressuale con 201 risposte di famiglie da tutto il paese mostra che.
- oltre la metà delle famiglie non riceve assistenza domiciliare
- più di un anno è l’attesa per l’accoglienza in una struttura protetta
- è divisa invece a metà la risposta sulla qualità delle cure: per una parte nessun percorso individuale e terapie solo farmacologiche, per l’altra parte percorsi riabilitativi personalizzati e interventi diversi aggiuntivi ai farmaci
I pregiudizi diffusi di pericolosità e incurabilità continuano i loro effetti perversi sull’opinione pubblica, bombardata da trasmissioni televisive senza scrupoli. La demagogia di chi promette soluzioni facili e definitive, abrogando la 180, trova quindi il terreno propizio e nel malcontento diffuso a volte giustamente, fra tanti familiari, e nelle paure fomentate ad arte. Ci siamo così trovati a combattere contro progetti di legge molto pericolosi, e sono ormai oltre due anni che in ottima compagnia (con le società scientifiche e con le regioni) ci opponiamo a rigurgiti manicomialisti sui quali non vale neppure la pena di fermarsi.
Sta di fatto che il bisogno c’è, le buone leggi per soddisfarlo pure: cosa manca allora? Due fattori fondamentali, la cogenza delle leggi e le risorse per poterle applicare. Questo è quanto non ci stanchiamo di chiedere allo Stato e ora soprattutto alle Regioni.
Perché si tratta di un problema etico. Lo abbiamo messo in luce chiaramente anche durante la nostra collaborazione con il Comitato Nazionale di Bioetica in preparazione della prima Conferenza nazionale per la salute mentale.
E’ giusto che un cittadino trovi ricovero e cura in tutto il paese per problemi gravi di cuore o di tumore, e venga trascurato per i disturbi psichici? E’ giusto che le buone pratiche, ormai diffusamente riconosciute, vengano riservate a pochi e negate a molti? E’ giusto morire bruciati a San Gregorio Magno o azzannati dai cani a Guidonia? Si tratta di cittadini o dobbiamo convincerci di appartenere a una categoria a parte? Vorremmo risposta.
Ho cercato di non dilungarmi sulle note tristi perché sono 10 anni che diciamo le stesse cose e non ci sentiamo ascoltati, pur nella nostra posizione di alleati degli operatori competenti che si prendono cura dei nostri congiunti, e non di malevoli critici, come sovente succede.
Siamo nell’Osservatorio Nazionale per la salute mentale, nell’Eufami e nella WAPR, collaboriamo con la SIP e con l’OMS, siamo nella Consulta nazionale e assistiamo con interesse alla nascita del Forum, che ha già raggiunto centinaia di adesioni da tutta Italia e che si attiva soprattutto verso il superamento del gap sempre più profondo fra le pratiche e le norme legislative e organizzative nel campo della salute mentale.
Ma non siamo ancora abbastanza forti per difendere con successo i diritti di chi soffre di disturbi psichici: per questo abbiamo organizzato questo Congresso in modo nuovo. Contiamo di fare un altro passo avanti nella lotta allo stigma e ai pregiudizi e verso un percorso di reale autonomizzazione delle persone sofferenti.
Ci occuperemo, Regione per Regione, delle situazioni locali buone e meno buone dell’assistenza psichiatrica e porteremo casi di realizzazioni esemplari, per dimostrare che non c’è bisogno di nuove leggi per lavorare bene: se si vuole si può e se si può si deve.
Da Bolzano a Caltanissetta, da Biella a Cagliari, da Morbegno a Pistoia, si fanno cose egregie e poco o per nulla conosciute: il paese deve sapere e gli operatori dei media questa volta ci aiuteranno.
L’altro argomento cui è dedicato il Congresso, è quello dei percorsi di ripresa, della ricerca e delle testimonianze dirette sui cosiddetti “recovery factors” .
Le persone esperte e le persone sofferenti ci diranno cosa e chi ha fatto riaccendere la luce, quando e come è ritornata la speranza di stare meglio, di riprendere in mano il proprio destino, di collaborare con gli operatori, di riannodare legami. E tutto questo dal vissuto diretto dall’esperienza soggettiva personale dei protagonisti, perché stare meglio si può e guarire anche, ma senza la vecchia autoritaria presunzione del “lo so io quello che fa bene a te”, che produce tanti rifiuti alle cure e pochi progressi, mettendosi invece su un piano paritario e lavorando insieme. Professori, ricercatori e testimoni ci porteranno per mano finalmente in questo campo nuovo e molto promettente del sapere sulla slaute mentale: occorre costruire una mappa dei fattori di ripresa e poi imparare a usarla.
Per concludere, quello che chiedono la gran parte dei familiari, siano essi divisi o riuniti in associazioni è molto semplice:
una vera, pronta, duratura e onesta presa in cura da parte dei servizi.
Questo vuol dire cose che da anni si vanno ripetendo e che, troppo poco ascoltate e troppo sovente tradite, producono alla fine di percorsi di abbandono e di disperazione, l’adesione acritica a progetti demagogici, arretrati, repressivi e reistituzionalizzanti.
Di che cosa parliamo quindi?
- di progetti terapeutico-riabilitativi individuali seguiti e rivisti almeno annualmente
- di visite domiciliari, obbligatorie se necessario
- di soluzione del problema dei “non collaboranti”
- di supporto alle famiglie mediante centri diurni, periodi di vacanze, sostegni economici
- di inserimento lavorativo e aiuto abitativo
- di contatto e ricerca per chi si allontana
- di messa al bando definitiva della contenzione
- di uso pertinente e moderato dei farmaci
- di commissioni miste di controllo sulla qualità dei servizi e sulla residenzialità pubblica e privata, per evitare cattive pratiche e ricoveri a vita
Si tratta evidentemente di cose chiare e già dette e scritte molte volte, ma troppo poco realizzate: occorrerà forse ricorrere ancora a pratiche incentivanti o penalizzanti per la catena dei responsabili.
Forse qualche ritocco legislativo potrebbe essere anche necessario per assicurare:
- CSM con residenzialità, aperti 24 ore su 24, 365 giorni all’anno
- Consulte dipartimentali con rappresentanze di familiari e utenti
- Cogenza delle leggi
- Finanziamento obbligato per la salute mentale non inferiore al 5% della spesa sanitaria
- Destinazione alla salute mentale delle risorse ex-OP
- Un buon lavoro di prevenzione nelle scuole, con i medici di base e con la neuropsichiatri infantile
- La fine dell’OPG con cure in carcere ed affidi esterni locali (vedi la recente sentenza della Corte Costituzionale 253/2003)
Occorrerà poi attivarsi nei confronti degli utenti per aiutarli in percorsi di empowerment, già diffusi in molti paesi europei e da noi ancora troppo arretrati.
Sarebbe utile e necessario un aiuto per:
- realizzazione di forme autoorganizzate, cooperative, associazioni, strutture abitative…
- gruppi di autoaiuto
- ricerche sui fattori di ripresa (recovery)
- valorizzazione della soggettività
Infine l’Università da rinnovare per evitare la riproduzione di vecchi modelli ancora troppo centrati sui farmaci e sulle sinapsi, che ben poco insegnano su tutto quanto detto sopra.
I disturbi mentali non sono né di destra né di sinistra, i familiari hanno opinioni politiche diverse: cosa voglio dire allora?
Fatti e non parole, buone pratiche, collaborazione, residenze pubbliche e non solo private…Che questo nostro Congresso porti in tutto il paese i tanti bellissimi esempi che ascolteremo insieme, che altri ne seguano sempre più numerosi per un futuro migliore per le persone con esperienza di disturbi mentali e per le loro famiglie.
Buon lavoro a tutti

 

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